LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto dal
 Procuratore della Repubblica presso  il  tribunale  di  Roma  per  la
 risuluzione  del  conflitto  di competenza con il collegio inquirente
 costituito presso il tribunale di Roma, ai sensi  dell'art.  8  della
 legge  costituzionale n. 1/1989, nel procedimento penale pendente nei
 confronti dell'on. Franco Nicolazzi.
    Sentita la relazione fatta dal consigliere dott. Renato Teresi;
    Sentite  le  conclusioni del p.m. con le quali chiede che gli atti
 vengano trasmessi al suo ufficio  per  la  requisitoria  scritta,  in
 osservanza  del procedimento previsto dal vecchio codice di procedura
 penale, non essendo applicabile il nuovo rito.
    Sentite  le  conclusioni  del  difensore,  avv.to  De Luca, che si
 riporta alle considerazioni e richieste della memoria scritta.
                               F A T T O
    Con  nota  del  21  luglio  1989  il  Presidente  della Camera dei
 deputati informava il presidente  del  collegio  per  i  procedimenti
 relativi ai reati previsti dall'art. 96 della Costituzione costituito
 presso il tribunale di Roma  -  che  in  data  20  luglio  era  stato
 deliberato  di  concedere  l'autorizzazione a procedere nei confronti
 dell'on. Franco Nicolazzi per fatti determinati al medesimo  ascritti
 avuto  riguardo  all'incarico  dal  medesimo  svolto  di Ministro dei
 lavori pubblici.
    Conseguentemente,  ai sensi dell'art. 9, quarto comma, della legge
 costituzionale n. 1/1989, venivano rimessi al predetto  collegio  gli
 atti processuali in precedenza inviati alla Camera dei deputati.
    Il  31  agosto  1989,  il  presidente  del collegio trasmetteva al
 Procuratore della Repubblica in sede il fascicolo processuale "per le
 sue richieste".
    Il  2  ottobre  1989  i difensori dell'on. Nicolazzi sollecitavano
 l'ufficio del p.m. a restituire  gli  atti  al  collegio  inquirente,
 deducendo  che  quest'ultimo  era  l'organo  competente  a proseguire
 l'istruttoria - fermo restando il potere-dovere del p.m. di formulare
 le  proprie  richieste - vertendosi in tema di competenza funzionale,
 inderogabilmente attribuita dall'art. 9, quarto  comma,  della  legge
 costituzionale  n.  1/1989; in coerenza con tale tesi, allegavano una
 lunga memoria illustrativa - inviata per conoscenza anche al collegio
 inquirente  -  al  quale  il  Procuratore  della Repubblica rivolgeva
 formale interpello per conoscere le ragioni di un eventuale  dissenso
 alla valutazione negativa che quell'ufficio riteneva di esprimere con
 apposita nota (nota del 13 ottobre 1989).
    A   seguito   della  comunicazione,  da  parte  del  collegio,  di
 condividere l'assunto della difesa (nota dell'8  novembre  1989),  il
 Procuratore  della  Repubblica  rimetteva  gli  atti a questa Suprema
 Corte per la risoluzione del conflitto  cosi'  determinatosi:  quanto
 sopra  a  norma  dell'art. 51, secondo comma, del c.p.p. del 1930, da
 considerarsi applicabile al caso di specie ai sensi dell'art. 242 del
 d.lgs.  28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione, di coordinamento
 e transitorie del codice di procedura penale).
                         MOTIVI DELLA DECISIONE
    Osserva  preliminarmente  il  collegio  che  il p.g. presso questa
 Corte  non  ha  concluso  nel  merito  della  denuncia  di  conflitto
 rilevando  che, a suo avviso, il procedimento in esame avrebbe dovuto
 essere trattato in camera consiglio, non ai sensi dell'art. 611 nuovo
 c.p.p.,   ma  ai  sensi  dell'art.  531  del  c.p.p.  del  1930,  con
 requisitoria, pertanto, da formulare per iscritto.
    L'eccezione non e' fondata.
    Al  riguardo  e'  sufficiente  rilevare  che  il  procedimento  di
 conflitto, ancorche'  incidentale,  ha  una  sua  propria  autonomia,
 sicche',  ai  fini  dell'individuazione del rito applicabile, occorre
 fare riferimento, secondo  il  criterio  generale  del  tempus  regit
 actum, al momento in cui il conflitto e' sorto o e' stato denunciato.
    Ed  e'  pacifico  che,  nel  caso di specie, il conflitto e' stato
 elevato dal Procuratore della Repubblica di Roma l'11 novembre  1989,
 in  epoca  successiva  all'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice di
 procedura penale, con la conseguente applicazione dell'art. 611 sopra
 richiamato.
    Tanto  premesso,  va  rilevato  che  la soluzione del conflitto e'
 collegata strettamente alla intrepretazione, da un lato,  dello  art.
 9, quarto comma, della legge costituzionale n. 1/1989, e, dall'altro,
 dell'art. 3, primo e secondo comma della legge 5 giugno 1989, n. 219,
 sostenendosi,  da  parte  della  difesa, in cio' seguita dal collegio
 inquirente, che la competenza attribuita a quest'ultimo  inderogabile
 e funzionale - debba essere riconosciuta anche per la fase successiva
 alla concessa autorizzazione a procedere e, da parte del  p.m.,  che,
 esaurita  la  fase  di  cui  all'art. 8 della legge costituzionale n.
 1/1989, la trasmissione degli atti al predetto collegio - per il caso
 di concessa autorizzazione, come e' quello in esame - abbia carattere
 meramente strumentale, spettando al Procuratore  della  Repubblica  e
 solo  a questi, la competenza funzionale a svolgere i successivi atti
 del procedimento.
    Si rende necessario pertanto un esame approfondito delle due norme
 per identificazione contenuti e collegamenti.
    Al  riguardo  e'  opportuno  precisare  che  il testo dell'art. 9,
 quarto comma, della legge costituzionale n. 1/1989  e'  del  seguente
 tenore:  "L'assemblea, ove conceda l'autorizzazione, rimette gli atti
 al collegio di cui  all'art.  7,  perche'  continui  il  procedimento
 secondo le norme vigenti".
    L'interpretazione  letterale  della  norma,  avuto  riguardo  alla
 terminologia usata, porta a  ritenere  -  a  prima  vista  -  che  la
 trasmissione   in   esame  non  sia  meramente  strumentale,  ma  che
 attribuisca in modo espresso al collegio inquirente - che gia' si  e'
 pronunciato con relazione motivata per la richiesta di autorizzazione
 a  procedere  -  la  competenza  a  continuare,  cioe'  a  proseguire
 direttamente  nel  compimento delle successive attivita' processuali,
 seguendo le norme vigenti al momento della ricezione degli atti dalla
 Camera competente.
    Tale  interpretazione, ora, pare trovare conforto anche nei lavori
 preparatori della legge costituzionale n. 1/1989.
    Va  rilevato  al  riguardo,  infatti,  che  il  testo  originario,
 approvato dal Senato il 28 gennaio 1988,  prevedeva  che  l'assemblea
 rimetteva  gli  atti  al  Procuratore della Repubblica "perche' abbia
 corso il procedimento secondo le norme vigenti".
    Tale  formulazione,  peraltro,  dopo  osservazioni varie, di senso
 contrario (cfr.  dep.  Casini,  seduta  del  4  marzo  1988),  veniva
 modificata  -  assumendo  il  contenuto del testo dell'art. 9, quarto
 comma - a seguito  della  approvazione  da  parte  della  Camera  dei
 deputati  di  apposito emendamento presentato dagli on.li Fumagalli e
 Gargani il 12 maggio 1988,  idealmente  ricollegabile  al  precedente
 intervento  dell'on.le Casini, gia' citato, che indicava nel collegio
 inquirente,   anche   per   la   fase   successiva   alla    concessa
 autorizzazione,  l'organo  piu'  garantista, rispetto al p.m., per la
 prosecuzione dell'istruttoria, in  quanto  composto  da  sei  giudici
 anziani,  per  di piu', sorteggiati (cfr.  lavori preparatorri, pagg.
 348, 349, 351, 511 e 512).
    A  favore dell'emendamento (approvato con centonovantaquattro voti
 favorevoli e quarantaquattro contrari), si  esprimevano  il  relatore
 on.le  Segni  ed  il  sottosetretario  di  Stato  per  la grazia e la
 giustizia on.le D'Acquisto (lavori prep. pagg.  527/528),  mentre  si
 pronunciava  in  senso  contrario  l'on. Mellini, sottolineando a suo
 avviso la "discrepanza tra la specialita'  dell'organo  istruttorio",
 cosi'  come  previsto  dall'emendamento,  e  "la normalita' di quello
 giudicante nel dibattimento".
    Nella  seconda  direzione, sia a livello di perplessita' sul nuovo
 testo, che di vera e propria opposizione, si  sviluppavano  i  lavori
 innanzi al Senato della Repubblica.
    Meritano  di  essere  particolarmente sottolineati gli interventi:
 del relatore, sen.  Guzzetti  (seduta  16  giugno  1988,  commissione
 affari  costituzionali,  atti pagg. 553/554 e 556/557) che denunciava
 la vulnerazione dell'impianto  generale  della  riforma,  diretta  ad
 assicurare l'applicazione delle norme ordinarie dopo l'autorizzazione
 della Camera, sottolineando peraltro (cfr. testo relazione),  che  in
 sede  di  commissione  la  modifica in parola era stata approvata nel
 presupposto che la norma potesse essere interpretata anche nel  senso
 originario: cioe' che una volta concessa l'autorizzazione il collegio
 si limita a trasmettere gli atti  al  p.m.  perche'  il  procedimento
 continui  secondo le norme vigenti; del senatore Strik Lievers (atti,
 assemblea, resoconto del 1› luglio 1988, pagg. 569 e 571; che metteva
 in evidenza come, per effetto dell'emendamento approvato dalla Camera
 dei  deputati,  da  un  lato,  si  erano  date   maggiori   garanzie,
 sostituendosi  ad  un  organo  collegiale, il p.m. organo tipicamente
 monocratico, ma, dall'altro,  si  sanciva  il  principio  che  e'  un
 giudice  diverso  da  quello  ordinario  a doversi occupare dei reati
 ministeriali; del sen. Maffioletti (atti, assemblea, resoconto del 1›
 luglio  1988,  pagg.  572/573) che interpretava il testo emandato nel
 senso che, in ogni  caso,  doveva  essere  chiaro  che  il  collegio,
 ricevuti  gli  atti  dalla Camera, li trasmette poi al p.m. affinche'
 cominci il giudizio ordinario in base alle norme di  diritto  comune;
 del  sen.  Elia,  nella  sua  qualita'  di relatore (atti, assemblea,
 resoconto del 1› luglio  1988,  pagg.  574/575)  che  suggeriva  come
 possibile  una  lettura  del  nuovo  testo  dell'art.  9 quarto comma
 compatibile con quello originario, nel senso che piuttosto  che  come
 trasmissione degli atti al collegio "perche' continui il procedimento
 (verbo transitivo),  dovrebbe  intendersi:  perche'  il  procedimento
 continui secondo le norme vigenti".
    Sempre  su  tale  punto  e'  opportuno  mettere in evidenza che un
 emendamento  del  sen.  Pontone,  diretto  a  ripristinare  il  testo
 ordiginario  dell'art.  9,  quarto  comma,  non  veniva approvato dal
 Senato (atti, assemblea, resoconto, pag. 584), mentre  un  intervento
 in  senso  sfavorevole  alla intervenuta modifica era svolto dall'on.
 Pazzaglia (atti parlamentari, Camera  dei  deputati,  seduta  del  20
 settembre  1988)  perche' la stessa portava a ritenere, a suo avviso,
 che  era  il  collegio  ad  essere  competente  per  lo   svolgimento
 dell'istruttoria,  contrariamente a quanto doveva desumersi sia dalle
 norme del vecchio che da quella del nuovo codice di procedura penale.
    Dal complesso dei richiami ora succintamente indicati e dal tenore
 letterale dell'art. 9, quarto comma, pare ora alla  Corte  che  debba
 verosimilmente   pervenirsi   alla  conclusione  secondo  cui,  dando
 prevalenza al tenore letterale della disposizione - anche  alla  luce
 delle     motivazioni    addotte    all'atto    della    proposizione
 dell'emendamento Fumagalli-Gargani e della reiezione  delle  proposte
 comunque  tendenti  a  ripristinare  il  testo originario - la stessa
 possa essere correttamente interpretata nel senso che  si  e'  voluto
 attribuire allo stesso Collegio inquirente la competenza funzionale a
 proseguire  il  giudizio  nella  fase  istruttoria,   applicando   le
 disposizioni  procedimentali  vigenti  al  momento della trasmissione
 degli atti da parte dell'assemblea.
    S'impone  a  questo  punto  l'esame  dell'art.  3, primo e secondo
 comma, della legge 5 giugno 1989, n. 219, il cui contenuto, ad avviso
 del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il tribunale di Roma, si
 armonizzerebbe con il testo della legge costituzionale,  integrandola
 ed  attuandola  sullo  specifico  punto  concernente  la prosecuzione
 dell'attivita' giurisdizionale una volta concessa l'autorizzazione  a
 procedere.
    Detto   assunto,   secondo   la   Corte,   non  e'  condividibile,
 contrastando sia con  il  tenore  letterale  delle  disposizioni  ora
 richiamate,  che  con i lavori preparatori della legge 5 giugno 1989,
 n. 219.
    Va  messo  in  evidenza  al riguardo che le norme oggetto di esame
 sono le seguenti:
      art.  3 primo comma: "Quando gli atti siano rimessi ai sensi del
 quarto comma dell'art. 9 della legge costituzionale 16 gennaio  1989,
 n.  1,  al collegio ivi indicato, il procedimento continua secondo le
 norme ordinarie vigenti al momento della rimessione";
      art.  3  secondo  comma:  "Nei  casi  di  cui  al primo comma il
 collegio provvede senza ritardo a trasmettere gli atti al Procuratore
 della  Repubblica  presso  il  tribunale  indicato nell'art. 11 della
 legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1".
    Osserva  ora  la  Corte  che, mentre il tenore letterale del primo
 comma e' neutro rispetto al testo dell'art. 9,  quarto  comma,  legge
 costituzionale  n. 1/1989 - e comunque, non offre spunti risolutivi a
 diversa conclusione si deve invece pervenire per quanto  concerne  la
 seconda  disposizione,  dalla  quale  emerge  in  modo univoco che il
 collegio funge da mero "passacarte" e che allo svolgimento  di  tutta
 l'attivita'  conseguente  alla concessa autorizzazione - e non per la
 mera  "formulazione  delle  sue  richieste"  -   e'   competente   il
 Procuratore  della  Repubblica, cui gli atti vanno trasmessi appunto,
 senza ritardo, dal collegio.
    Detta interpretazione, d'altra parte, e' perfettamente riscontrata
 dalla relazione  che  precede  il  testo  della  legge  ordinaria  n.
 219/1989  (cfr.  atti  parlamentari  pag.  7) dove appunto si afferma
 testualmente che il secondo  comma  "precisa  opportunamente  che  il
 collegio  deve  limitarsi a trasmettere gli atti al Procuratore della
 Repubblica presso il tribunale competente per il  giudizio  ai  sensi
 dell'art. 11 della legge costituzionale".
    Con  il  che  si  da'  per  scontata  la  competenza del p.m. dopo
 l'autorizzazione a procedere, come d'altra parte si evince anche  dal
 richiamo  su  tale  punto  al  contenuto  della relazione ora citata,
 espresso dall'on. Fumagalli Carulli, relatore  innanzi  alla  seconda
 commissione  del  Senato  della  Repubblica  in sede consultiva (atti
 parlamentari, seduta 31 maggio 1989, pag. 82).
    Alla  stregua  delle  considerazioni  esposte, pare ora innegabile
 alla Corte che il contenuto delle due norme  prese  in  esame,  avuto
 riguardo  in  particolare  - quanto alla legge ordinaria - al secondo
 comma dell'art. 3, sia tale da  attribuire  alle  stesse,  secondo  i
 canoni   interpretativi   correnti,  significato  diverso  in  ordine
 all'organo  competente  funzionalmente  a  procedere   nei   previsti
 incombenti,  a  seguito  dell'autorizzazione  concessa da uno dei due
 rami del Parlamento.
    E  poiche'  la  questione  e' indubbiamente rilevante - dipendendo
 dalla diversa risoluzione della stessa anche la decisione  in  questa
 Corte  in  ordine  alla identificazione dell'organo cui, decidendo il
 conflitto, vanno trasmessi gli atti per la prosecuzione del  giudizio
 - e, d'altra parte, la stessa non appare manifestamente infondata sul
 punto relativo al contrasto tra la legge costituzionale  e  la  legge
 ordinaria,  si  impone,  d'ufficio,  l'invio  degli  atti  alla Corte
 costituzionale per quanto di sua competenza.